Il suono del silenzio
L’ascolto del silenzio
acquieta la tempesta
che mi agita dentro.
È vibrante
nelle mie orecchie
il suono del silenzio
Mi attira, mi incanta
mi avvolge, mi abbraccia
Io sto con lui e lui con me.
Mi abituo
alla sua presenza
piano piano.
Lo scopro
Spazio bianco
tra le parole.
Con me da sempre
lo guardo ora
con occhi nuovi
E lascio
il suono del silenzio
Qualche riflessione
Ho deciso di stare in silenzio. Silenzio dal latino silēre: “tacere, non far rumore”.
Ho deciso di non fare rumore con la mia voce. La voce è suono. Il suono può essere armonioso o stridulo. La voce si trasforma in parola. La parola può essere rispettosa gentile o sgarbata, irosa nel contenuto e nel tono.
“Primum non nocere” dicevano gli antichi.
“Ahimsa” per l’induismo ha lo stesso significato, è un termine sanscrito composto da “A” “Non” e “hiṃsā” dal verbo “han” “uccidere” “nuocere”.
Il punto tre del “Nobile ottupice pensiero” buddista recita: retta parola: astensione da parola falsa, da parola che calunnia, da parola aspra e da parola oziosa.
Con la parola si può ferire e uccidere, più che con una spada affilata. Si colpisce la dimensione interiore, ciò che anima il corpo, il nostro sè più profondo.
Tanta rabbia, odio, frustrazione nelle parole dette dalla gente, sui social, nei media. È lo stesso nelle famiglie, tra genitori e figli, fratelli, marito e moglie, fidanzati.
Parole vomitate addosso a chi non la pensa come noi che scavano solchi di separazione tra le persone in nome della libertà che ognuno vede in cose diverse. Libertà cercata, libertà negata. Libertà tolta e riconquistata. Illusione di libertà che non esiste più.
Mi sono chiesta… “e se tutto tacesse?” “Se improvvisamente il mondo entrasse in un mare di silenzio”?
Non posso far tacere gli altri e allora faccio silenzio io.
Rispondo con gli occhi oppure scrivo qualche parola su di una lavagnetta. Rispondo per iscritto.
Non è facile perché la voce se ne esce da sola. Ieri il primo giorno, ho parlato tre volte rispondendo ai miei figli per sbaglio. Oggi alle 11, già la prima dimenticanza, ho risposto a mia mamma che ha suonato alla porta.
Piano piano imparerò a osservare il silenzio. Già mi sta insegnando. Rallenta il mio pensiero, calma le mie emozioni.
Mi accorgo che molte parole sono inutili, la maggior parte.
Condiamo le azioni di parole di accompagnamento che potremmo non dire, come ad esempio: “ti sto preparando il caffè”, oppure “sei arrivato?” quando sentiamo la porta che si apre.
Spesso rispondiamo a domande scomode perché ci sentiamo in obbligo di farlo, e diciamo parole evasive o bugiarde che non corrispondono al nostro pensiero.
Ci sono poi le parole di riempimento, dette per colmare i silenzi, si teme il silenzio che porta imbarazzo. E così, le parole che dovrebbero avvicinare, ci tengono lontani.
Oggi rimango quindi in silenzio, per affinare l’ascolto e reimparare a parlare alla luce della sacralità della parola.